Non c’é giorno in cui non si parli di sicurezza, o meglio, di insicurezza. Insicurezza per le strade, sui cantieri, nei luoghi pubblici e privati. Per non parlare delle catastrofi “naturali”, molto probabilmente, come sostengono i massimi esperti, causati dall’uomo per aver “abusato” del paesaggio e della natura.
In questo scenario, entra in gioco uno dei principi cardine del diritto penale: la prevedibilità dell’evento. Un canone, un principio, oserei dire una “regola di vita” che, se concretamente rispettata, soprattutto da chi riveste ruoli apicali in ogni contesto, contribuirebbe ad impedire situazioni drammatiche come quelle già verificatesi in passato; situazioni del passato che, purtroppo, a tutt’oggi, non hanno “insegnato” nulla.
Non può dimenticarsi, infatti, la strage del Vajont, descritto da Sandro Canestrini, nel suo libro (Cfr. Vajont: genocidio dei poveri, Sandro Canestrini, Avvocato trentino e patrono del collegio di difesa della parte civile nel processo che vedeva imputati i maggiori responsabili della strage del Vajont, tra cui personalità di spicco del mondo politico e industriale).
In data 20 febbraio 1968 il Tribunale di Belluno, nella persona del Giudice Dott. Mario Fabbri, emetteva, in nome del popolo italiano, sentenza a definizione del giudizio, di primo grado, della strage del Vajont. In sentenza, il Giudice metteva in evidenza i seguenti principi: colpa, imprudenza, imperizia, negligenza consistente nel fatto di avere: a) omesso di adottare le cautele consigliate dai consulenti e dai tecnici interpellati, per aver omesso studi e controlli; b) effettuato invasi a livelli sempre più alti e quindi pericolosi per la pericolosità della sponda; c) attinto, con il terzo invaso, la quota di m. 710 sì da innescare il movimento rapido di tutta la frana. A tutti gli imputati veniva contestato l’aggravante della previsione dell’evento sin dall’anno 1960 (…).
Colpisce all’attenzione dello scrivente, un periodo scritto dal giudice in sentenza: “dovere giuridico e morale, se non vogliamo che in avvenire, in nome del progresso tecnico, dell’esigenza produttiva dello Stato, del profitto di pochi o di molti, i nostri stessi figli siano testimoni e vittime di analoghe tragedie” (Cfr. pag. 113, Vajont: Genocidio dei poveri di Sandro Pertini, 2003, Cierre edizioni).
Oggi, alla luce di quanto accade nel mondo, più che mai, questa sentenza del 1968, purtroppo, continua ad essere di grande attualità e monito.
Avv. Paolo Marinò, Foro di Taranto, Cassazionista.